L'ingegneria forense (una introduzione)

L'ingegneria forense è la pratica professionale che si esercita nell'ambito dei processi (civili, penali e amministrativi) o in momenti che preludono al processo, oppure ancora nelle vertenze extragiudiziali. Essa ha carattere multidisciplinare (ed, anzi, ingegneristicamente omnidisciplinare) e trae la sua utilità dalle conoscenze scientifiche di base e dalla capacità di analisi critica dell’ingegnere, piuttosto che dalle sue cognizioni specialistiche. In questo ambito, non è la natura dei fatti che viene investigata, ma ha rilievo il metodo di analisi e di valutazione finalizzata a definire un determinato rapporto giuridico o acquisire un elemento di prova in circostanze d'interesse giuridico.
L'ingegneria forense ha dunque carattere applicativo e utilizza le conoscenze ingegneristiche per risolvere i casi legali fornendo all’Autorità giudiziaria (o ad una parte che ne ha interesse) pareri tecnici mediante la perizia e la consulenza tecnica.
Tale attività si può esplicare al di fuori del giudizio o in vista del giudizio (attività stragiudiziale o extragiudiziale), oppure all'interno processo (attività forense propriamente detta).
All'interno del processo, l'ingegnere forense può prestare la sua opera per una delle parti (il pubblico ministero, l’indagato, l'imputato, la parte civile, l'attore, il convenuto) in tal caso la sua è un'attività di consulenza tecnica.

In altri casi è invece il giudice che gli conferisce l'incarico di proprio ausiliare (il perito). Non si può ovviamente escludere che il giudice sia in possesso di personali cognizioni atte a valutare una determinata questione a contenuto tecnico; tuttavia, esiste un limite all'utilizzabilità di tali personali cognizioni, un limite imposto dal necessità della prova peritale tutte le volte che dette nozioni esulano dal patrimonio culturale dell'uomo medio e dalla comune esperienza. In definitiva, il giudice deve ricorrere al consulente anche quando, per un puro caso, si trova a possedere conoscenze che gli permetterebbero di farne a meno.
Una volta stabilito quando il giudice debba far ricorso ad una consulenza tecnica, ci si chiede ora come il giudice possa controllare la bontà dei metodi di indagine, le valutazioni e le conclusioni del consulente. La risposta risiede nel fatto che il giudice ha la possibilità di valutare autonomamente la prova e di discostarsi di dissentire dalle conclusioni peritali formulando un'adeguata motivazione.
In ogni caso, il giudice fonda il proprio convincimento sui comuni criteri di verifica quali, principalmente, l'autorevolezza dell'esperto, il riconoscimento scientifico della metodologia adottata, la coerenza e la logica delle argomentazioni.
Nella veste di perito, l'ingegneria forense è dunque un esperto (l’expert witness dei paesi anglosassoni) cui l’Autorità giudiziaria, priva di conoscenze tecniche, deve far ricorso per una corretta applicazione della legge. La consulenza tecnica non è però diretta a determinare il convincimento del giudice in ordine alla verità, ma integra l'attività di valutazione del giudice circa fatti determinanti. Essa è pertanto uno strumento funzionale alla risoluzione di questioni di fatto che presuppongono conoscenze di natura tecnica. Il giudice, supportato dall'ingegnere forense, risolve quindi la controversia richiamando le conclusioni formulate da quest'ultimo e motiva il proprio convincimento tenendo presenti i limiti, l'opinabilità e gli elementi soggettivi della valutazione ingegneristica.

 

[articolo di Pippo Sergio Mistretta tratto dal “MANUALE DI INGEGNERIA FORENSE - Teoria e pratica della consulenza ingegneristica nel processo penale e civile” (paragrafo 1.5 pag.31-32 ed.06/2014) © Dario Flaccovio Editore - riproduzione vietata]